Tra globalizzazione e campanilismo idiota, dove vuole collocarsi una piccola comunità?

La rivoluzione tecnologica è l’humus su cui ha progredito velocemente la globalizzazione. Persone con capacità nelle tecnologie, di sicuro intuito e genio, hanno cavalcato favorevolmente il processo accumulando fortune economiche spropositate. Iconicamente la foto di Musk, Bezos, Zuckerberg, ecc. all’insediamento di Trump mostrava i nuovi padroni economici del mondo. Nel bene e nel male. La globalizzazione, come tutti i fenomeni, presenta due facce della medaglia.


Da una parte ha avvicinato il mondo accorciando le distanze, ora Raiano e Sulmona sono più vicine ad Auckland e Pechino, dall’altro impone visioni nuove per il grande pericolo di povertà, distanza sociale, insicurezza dei più.


All’opposto della globalizzazione troviamo il campanilismo. Fenomeno non del tutto negativo, ma che va visto in una collocazione nei nostri tempi. Troppe volte una politica locale miope ha cavalcato beceramente il campanilismo erigendo egoismi e barricate tra la propria comunità di quattro gatti (da qui il mio apostrofare come idiota quel campanilismo), e quella confinante. Esiste anche un campanilismo da difendere con le unghie perché enorme ricchezza culturale e di tradizioni. Un piccolo esempio è la differenza marcata tra i dialetti della nostra Valle Peligna, anche quando a dividere due paesi c’è solo un rettilineo di 2 km e non un passo alpino.


Un amministratore, che voglia essere moderno, eletto in un piccolo comune, deve porsi il problema di come collocare la sua comunità tra questi due poli.
Semplificando, pur banalizzando l’argomento: grande vuol dire forte ma perde identità, piccolo vuol dire debole ma è più identitario. 


La Valle Peligna è un territorio schiacciato economicamente all’interno del nostro Abruzzo: ad est la costa che è il motore economico della regione (e ha 1 milione di abruzzesi in una fascia di 8 km dalla riva del mare, i restanti meno di 300 mila, sparsi nel resto del territorio). Ad ovest la Marsica che orienta la sua economia parte all’interno, parte sulla vicina Roma; a Nord l’aquilano, con la città de L’Aquila che non ha mai fatto da chioccia e da riferimento alla sua provincia, anzi! A sud l’Alto Sangro, concentrato sul turismo della montagna, e che ogni tanto fa pensieri di secessione dall’Abruzzo.
Ancora. La frammentazione del territorio è una caratteristica tutta italiana, forse per la storia che ci ha visto pullulare di gran ducati e di stati comunali. Basti pensare che l’Italia ha quasi 8 mila comuni per 59 milioni di abitanti. Francia e Inghilterra sono nazioni da 68 e 57 milioni di abitanti e hanno organizzazioni diametralmente opposte. I transalpini hanno 35 mila comuni su 551 mila Km quadrati (nell’Unione Europea è lo stato più esteso e ha il primato del 40% dei comuni europei). Per fare un paragone in Italia la superficie è di 302 mila. I sudditi di Re Carlo sono invece organizzati con 30 comuni su 130 mila Km quadrati. Francia e Italia hanno aderito ad un indirizzo europeo (incentivato) di riduzione dei comuni.


Ma quindi, alla luce di quanto appena esposto, quale può essere una visione politico-strategica furba, produttiva e proiettata nel futuro per una piccola comunità?


Partiamo dall’analisi del campanilismo idiota. Prevede il cercare di conseguire il risultato in competizione con i comuni confinanti: spesso è giusto una strada asfaltata in più, se si cavalca qualche legge arrivano soldi che ristrutturano edifici pubblici o privati. Si è piccoli e si conta molto poco, ma magari si incasellano le stesse tessere di partito tra comune, provincia e regione e si vince sull’antagonista vicino. Visione (e relativa tattica) buona nel breve periodo, al netto della tessera di partito, perché al cambio di governatore si sprofonda nell’oblio. Il campanilismo idiota è attualmente praticato da alcuni comuni della nostra valle, non serve fare i nomi, noi dobbiamo lavorare lentamente e con costanza sulla loro comunità per creare consapevolezza verso un campanilismo della cultura ma una visione di territorio allargato.
La globalizzazione internazionale non è una politica perseguibile per un piccolo comune, tuttavia, uno dei concetti di fondo che incarna (superamento del piccolo) va coltivato, soprattutto nelle attività produttive. Se invece si vuole restare piccoli (o in ambiti familiari) la cosa non è anacronistica solo le imprese sono capaci di fare reti sinergiche. Spesso invece si assiste a concorrenza spiccia (e improduttiva).
Ideale, su un piano prettamente teorico, sarebbe avere una municipalità allargata (leggi fusione dei comuni) dell’intera Valle Peligna. Un territorio di circa 100 km² con circa 40 mila abitanti sarebbe il 5° o 6° comune d’Abruzzo, avrebbe vantaggi fiscali e possibilità di sforamenti di bilancio, fondi europei e dallo stato italiano. Siamo sicuri che di sindaci con la mente aperta verso una fusione ce ne sono, iniziare il processo tra questi non è cosa da poco. Lo scenario, seppur altamente auspicabile, non è fattibile nel breve periodo: troppi i sindaci peligni che attuano politiche modello “il mio paese first”, una cultura della coesione che va fatta crescere nella popolazione a suon di fatti.
E tra i fatti ci sono cose difficili e altre relativamente più facili da attuare. Per volare bassi, ad esempio, un unico cartellone estivo degli eventi (meglio se sinergico e coordinato), magari con un sito di promozione turistica peligno gestito da un team di giovani, uno per comune, che devono avere come requisito essere under 25 e residenti in Valle Peligna. Sito che sarebbe finanziato anche dalle strutture private ricettive, della ristorazione, enti turistici del terzo settore nel momento in cui potessero ricevere prenotazioni e aumentare i fatturati. Se non sono d’accordo tutti i comuni, quelli con una vision più moderna dei suoi attuali amministratori, potrebbero avviarsi sul percorso, i risultati porterebbero facilmente altre adesioni. Approfondiremo con ulteriori idee in altri articoli questo tema.


Tra gli altri fatti da inseguire ci sono progetti di z.e.s. condivisa, sportello SUAP unico peligno, ufficio del turismo peligno all’uscita del casello A24, favorire sinergie agricole, energetiche, azioni che vanno ben oltre la banale logistica di “prestarsi” un vigile urbano per la festa del patrono locale.
In questa visione di fusione/cooperazione bisogna anche essere pronti ad accettare il probabile capriccetto egoistico da superiority complex pratolano (o sulmonese? o altri ancora?), agendo sulla leva della comunità che vive in quel comune perché tra i peligni vedo tante eccellenze che possono svolgere il ruolo di stakeholders (portatori di interesse, personalità carismatiche) che possono influenzare (senza essere, Dio ce ne guardi, influencer). Queste persone vanno coinvolte in una rete di eccellenze peligne che può indirizzare certe politiche chiuse solo sul proprio territorio, politiche senza gambe nel lungo periodo.


Ancora altri fatti da perseguire: la centrale SNAM è cosa fatta, impossibile tornare indietro. Tuttavia, solo una politica comune della vallata può barattare contropartite, magari di tutela della salute dei cittadini. Inutile andare a protestare con la fascia tricolore ai cancelli di quel cantiere. Politica comune che tornerà utile quando, in futuro, arriverà nel nostro territorio una seconda SNAM, questa volta con il nome di RFI. I fatti del comune di Manoppello, che rischia un’organizzazione del territorio con moderni muri di Berlino, stanno facendo scuola.


È ora quindi di andare oltre le facciate di istituti di cooperazione che sono ispiranti solo nella forma e non nella sostanza. Aspettando una cultura della fusione, sono meglio protocolli d’intesa su aspetti chiari e dove gli interessi sono di due, tre o più comunità: agricoltura, produttività, sicurezza, mobilità, turismo, visione della Valle Peligna nel medio/lungo periodo.
Parliamone!

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